Il dibattito televisivo italiano sull’Ucraina

Il dibattito televisivo italiano sull’Ucraina è surreale. L’ultima che ho sentito riguarda un saggio apparso su Foreign Affairs nell’aprile 2024, intitolato “The Talks That Could Have Ended the War in Ukraine”, scritto da Samuel Charap e Sergey Radchenko (quest’ultimo ho avuto modo di conoscere di recente).

Per qualche strana alchimia, il saggio viene interpretato come la prova che l’Occidente – in particolare Boris Johnson – avrebbe impedito all’Ucraina di firmare un trattato di pace.

Questa è la tesi sostenuta da Putin, e viene accolta nei talk show italiani “senza se e senza ma”. Non serve a nulla che Zelensky e Johnson abbiano più volte smentito questa ricostruzione, definendola una bufala priva di qualsiasi logica politica.

Ma torniamo al saggio. Il testo afferma chiaramente che “the claim that the West forced Ukraine to back out of the talks with Russia is baseless”. Sappiamo che molti commentatori italiani hanno qualche difficoltà con le lingue straniere, ma il testo è piuttosto chiaro. Gli stessi autori concludono che la mancanza di una garanzia da parte dell’Occidente – secondo cui, in caso di un nuovo attacco, la NATO e i suoi alleati avrebbero difeso ciò che restava dell’Ucraina – fu la vera ragione del fallimento totale di quei colloqui tra fine marzo e inizio aprile. Tra l’altro, pochi giorni dopo sarebbero emersi in tutta la loro brutalità i massacri di civili a Bucha.

Il saggio, in realtà, ha sollevato un dibattito nel mondo accademico per un altro motivo. Gli autori sostengono che Putin negoziasse “in buona fede” e fosse pronto a un accordo. Altri studiosi hanno contestato questa affermazione. A me sembra una discussione di lana caprina. Putin sarebbe stato pronto ad accettare un accordo umiliante per l’Ucraina, che non avrebbe garantito in alcun modo la sicurezza futura del paese. Un simile accordo non avrebbe impedito a Putin di riprendere la guerra più avanti. È buona fede, questa? No, se per buona fede si intende la presenza di meccanismi che avrebbero realmente scongiurato una seconda (terza) invasione.

La tesi più interessante del saggio è un’altra – anche questa molto dibattuta e criticata: Putin sembrava disposto a fare concessioni. Ammesso che fosse vero, perché sarebbe stato disposto a tali concessioni? 

La risposta: perché aveva subito una cocente sconfitta sul campo. Non era riuscito a conquistare l’Ucraina in tre giorni. I due autori sostengono che ciò dimostra che Putin è flessibile e reagisce al mutare delle situazioni. A me, invece, sembra dimostrare semplicemente che il presidente russo è un tattico, capace di fare buon viso a cattivo gioco – come sappiamo bene dalla sua biografia politica. Di fronte all’inaspettata resistenza degli ucraini, ha dovuto adeguarsi. Dunque, la forza è l’unica cosa che capisce. Allora come oggi.

Aprile 18, 2025

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