Il movimento delle mafie italiane dalle regioni dove sono tradizionalmente radicate– Sicilia, Calabria e Campania – alle zone del Nord del paese è un tema oggi ampiamente discusso (vedi, ad es., Gennari 2013; Dalla Chiesa e Panzarasa 2012; Pignatone e Prestipino 2012; Portanova, Rossi, Stefanoni 2011; Tizian 2011; De Filippo e Moretti 2011; Ciconte 2010; Di Antonio 2010; Forgione 2009; Sciarrone 1998). Questa attenzione ha permesso di sfatare la tesi secondo la quale le mafie non sono in grado di riprodursi al di fuori del loro territorio originale (vedi Gambetta 1993) e l’opinione di alcuni politici e funzionari statali che la mafia al Nord non esiste.2 Eppure lo studio di questo fenomeno ancora soffre di diversi limiti metodologici, concettuali e teorici. Ciò rende le proposte di intervento poco incisive. Lo scopo di questo testo è offrire una definizione chiara del fenomeno, avanzare una teoria che idenfichi una serie di variabili in grado di spiegare il trapianto delle mafie in zone non tradizionali, e indicare quali dati siano necessari per testare tale teoria. Nella Seconda parte del lavoro applico questo approccio al caso della Regione Emilia-Romagna. Nelle Conclusioni, riassumo i punti principali dell’analisi e indico alcune proposte circa i dati che andrebbero raccolti per poter meglio monitorare il fenomeno nella Regione Emilia-Romagna, e circa gli interventi della classe politica ed amministrativa.
