[ho scritto un testo per la Nuova Ferrara che riprende alcuni temi gia’ affrontati in altri post su Facebook e interviste. Testo in pdf qui:
e di seguito:]
La scomparsa di John le Carré mi ha sconvolto. Ci eravamo sentiti da poco, prima per gli auguri di compleanno e poi per discutere di un possibile progetto di documentari su come è cambiato il mondo dello spionaggio russo dopo la fine della guerra fredda. Mi aveva detto dei problemi di salute, ma mai avrei immaginato questo esito. La sua voce e i suoi messaggi erano quelli di sempre, cortesi, attenti, ironici, ricchi di affetto.
Avevo conosciuto David Cornwell, il vero nome dello scrittore, nel 1995, dopo un mio viaggio di studio in Russia. Mi voleva consultare–io giovane studente di dottorato–sui temi che sarebbero andati a formare l’ossatura del romanzo La passione del suo tempo (1995). Da allora la nostra routine non è cambiata: mi faceva arrivare le versioni dei suoi romanzi in scatole di cartoncino leggero, quelle che immagino usino gli uffici per la carta per fotocopie. Spesso ci trovavamo a discutere d’estate in Cornovaglia. Tutt’ora quelle scatole sono nel mio ufficio e vi appoggio sopra lo schermo del computer. Le osservo tutti i giorni. E’ forse questa una metafora inconsapevole delle opere di John le Carré. Per quanto ben ancorati a fatti storici centrali del secondo novecento e di questo secolo, i suoi libri ci aprono orizzonti vastissimi.
Molti commentatori in queste ore hanno ricordato i capolavori di le Carré dedicati alla lotta tra servizi segreti durante la guerra fredda, da La Spia che venne dal freddo a La talpa. Le Carré ha creato un personaggio–George Smiley—che è entrato nell’immaginario inglese come Sherlock Holmes e James Bond. Io invece ho visto nascere e in alcuni casi collaborato alle opere successive, pubblicate a partire dagli anni novanta. Ecco alcuni titoli: Il Direttore di notte, Il Giardiniere tenace, Single&Single, Amici assoluti, Yssa il buono, il nostro traditore tipo, Una verità delicata, Un passato da spia fino a La spia corre sul campo. Sono romanzi imprescindibili per capire il mondo dopo la caduta del muro di Berlino, gli eccessi del capitalismo finanziario, il riciclaggio del denaro, i crimini dell’industria farmaceutica, i delitti commessi in nome della ‘guerra al terrore’ e la privatizzazione dei servizi di sicurezza. Scavano nei meccanismi delle relazioni internazionali, mettono a nudo la pochezza di una classe politica che non esita a tradire i servitori della patria, e di una classe imprenditoriale ubriacata dal miraggio della ricchezza, che non si cura dell’origine del denaro che immette nel sistema finanziario. La chiave per capire quegli intrecci è sempre il dilemma etico dei personaggi. Un grande ammiratore della cultura tedesca, sopratutto di Friedrich Schiller e di Thomas Mann, le Carré mette in scena un dilemma centrale della letteratura occidentale: la volontà di un personaggio di condurre un’esistenza integra e onesta e la pulsione verso un mondo impuro che ci costringe ad accettare compromessi.
A me David mancherà tantissimo. Quando siamo costretti a confrontarci con la morte di un amico, di un maestro che ci ha guidato per tanti anni, soffriamo per lui, ma sopratutto soffriamo per noi stessi. Con la sua scomparsa muore una parte di noi, finisce per sempre la possibilità di aggiungere una parola, corregere un giudizio, raccontare la nostra vita. La morte di un amico seppellisce anche il nostro passato. Si rimane soli su questa terra, nella speranza di ritrovare le forze per iniziare ora un dialogo immaginario con quella persona che purtroppo non c’è più.
Federico Varese
Professore ordinario di criminologia
Università di Oxford