Contro la retorica. Recensione del volume “Peccato o crimine”. Repubblica, 27.03.2021

Un film di François OzonGrazie a Dio (2019), racconta la storia vera di Alexandre, che nel 2014 decise di denunciare gli abusi subìti vent’anni prima da un prete di Lione, Bernard Preynat. La storia riassume in nuce la tesi del ricco e importante saggio di Francesco Benigno e Vincenzo Lavenia, Peccato o crimine. La Chiesa difronte alla pedofilia, pubblicato da Laterza. Nei secoli, la Chiesa Cattolica ha considerato la pedofilia come un peccato contro il sesto comandamento, una malattia da curare con il pentimento e la fede nella redenzione. Per l’arcivescovo di Lione e le autorità ecclesiastiche francesi, padre Bernard è una pecora smarrita, “uno di noi” per il quale vale il monito, “chi è senza peccato scagli la prima pietra.” Al contrario, la vittima Alexandre è interessato ad un individuo preciso, che ha commesso un reato. “Io non voglio che si penta, voglio che sia punito,” dice il protagonista del film. Contro la retorica del perdono, chiede un’ammissione di colpa e una pena. Quali sono le ragioni profonde del ritardo della Chiesa nel capire che il paradigma andava cambiato?  

Benigno e Lavenia, sulla base di un’analisi approfondita dei testi, rifiutano due spiegazioni speculari. L’ala tradizionalista della Chiesa abbraccia la tesi implausibile che la rivoluzione dei costumi degli anni Sessanta avrebbe fatto aumentare l’omosessualità e gli abusi da parte del clero. ‘Il problema non è la pedofilia ma il relativismo etico,’ dice il teologo conservatore John Neuthaus. L’ala più modernizzante invece imputa il ritardo alla tendenza delle gerarchie a chiudersi a riccio rispetto alle esigenze del XXI secolo. Benigno e Lavenia, che pure trovano qualche merito nella seconda spiegazione, sostengono che la causa ultima derivi dalla concezione cristiana della sessualità, che affonda le sue radici nella condanna platonica delle passioni carnali. Sin dall’inizio la Chiesa si pronunciò contro la “sodomia” e confuse l’omosessualità con gli abusi ai minori. Il pentimento portava al perdono e al reinserimento nel ruolo. La preoccupazione fu sempre la purezza del clero, non la protezione delle vittime, che anzi vennero colpevolizzate se non davano segni evidenti di resistenza. Dobbiamo attendere gli ultimi due Papi, Benedetto XVI e Francesco, perché vengano prese posizioni inequivocabili contro la pedofilia, mettendo al centro le vittime. Il paradigma è cambiato. È lecito dunque concludere che anche il problema sia stato risolto? 

Purtroppo, rimane un ostacolo non ancora rimosso: la diffidenza della Chiesa verso la giustizia terrena. Fino all’Ottocento, il clero veniva giudicato da tribunali speciali. In vari momenti storici, la Chiesa è stata sì vittima di regimi totalitari o di campagne anticlericali. Ma nell’epoca moderna il clero deve fare i conti con il codice penale, come tutti noi. Grazie a Papa Francesco, il diritto canonico ha fatto grandi passi nella lotta alla pedofilia: ha inasprito le pene, ha introdotto l’obbligo di segnalare ai superiori i casi sospetti e ha abolito il vincolo di silenzio sulle cause intentate. Vige però il principio che i processi vengano istruiti in Vaticano (e non nelle sedi decentrate) e un ciclo di cure può ridare al fratello l’abito talare. Un aspetto cruciale è che le pene considerate severe dalla Chiesa appaiono irrisorie ad un osservatore esterno, come la riduzione allo stato laicale. Il primo processo per pedofilia avvenuto dentro le mura vaticane, con l’arresto dell’imputato, è del settembre 2014. Nel frattempo, l’autorità giudiziaria stava indagando su 4.000 religiosi in Australia. C’è un parallelismo rivelatore nel caso della lotta alla mafia: la Chiesa, nemica dello Stato unitario, fu troppo tenera con i mafiosi, che vennero battezzati, sposati e protetti per decenni, come documentato dagli studi, ad esempio, di Isaia Sales. La condanna della mafia da parte della Chiesa oggi è netta, ma è molto recente ed è solo un primo, doveroso passo. La strada più rapida per combattere gli abusi sui minori e la criminalità organizzata è, almeno dove vige lo stato di diritto, alzare la cornetta ed informare il magistrato. Un gesto semplice che l’arcivescovo di Lione non ebbe il coraggio di fare. Padre Preynat non è sfuggito però alla giustizia terrena, imperfetta forse ma insostituibile. 

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