Al di là delle responsabilità penali che dovranno essere accertate, nell’inchiesta della procura di Catanzaro sulla contiguità fra ‘ndrangheta e politica emerge un quadro sconcertante.
Articolo apparso su Repubblica, 21/01/2021
Testo:
La nuova inchiesta promossa dalla procura di Catanzaro sta scatenando un terremoto. Ancora una volta i tentacoli di un’organizzazione criminale entrano nel salotto buono della politica. La scena è conviviale: in un elegante ristorante a pochi passi da Piazza Barberini, un imprenditore calabrese, Antonio Gallo, viene portato nel luglio del 2017 al cospetto di un protagonista della politica italiana, Lorenzo Cesa, segretario dell’Udc e all’epoca europarlamentare. Organizzano l’incontro l’attuale assessore al Bilancio della Regione Calabria, Francesco Talarico, e due consiglieri comunali, tutti in quota Udc. Le telefonate intercettate prima e dopo l’incontro lasciano pochi dubbi: gli ospiti calabresi vogliono accreditare Gallo quale uomo fidato verso cui convogliare appalti pubblici. Gallo ha anche progetti di espansione in Albania e spera che il politico romano possa intercedere per lui presso quel Paese. In cambio Gallo assicura un pacchetto di voti per far eleggere Talarico al Parlamento nel 2018 (elezione sfumata di un soffio). Gallo è, secondo gli inquirenti, il “riferimento operativo delle organizzazioni ‘ndranghetistiche” basate tra Catanzaro e Cutro. I voti che Gallo promette sono quelli che l’organizzazione criminale aveva convogliato in passato verso il senatore Antonio Caridi, all’epoca in carcere per concorso esterno in associazione mafiosa.
Spetterà al processo stabilire le responsabilità individuali e vale la presunzione d’innocenza, ma il quadro che emerge dalla lettura della ordinanza è sconcertante. Partiamo dall’economia. Gli imprenditori finiti nell’inchiesta non hanno nulla di imprenditoriale: vivono all’ombra del potere politico-amministrativo. Fatture fittizie permettono loro di ottenere rimborsi Iva falsi. Nel caso di Gallo, quasi un milione e mezzo di euro in un breve periodo entrano nelle sue tasche. Gli appalti sono illegali: per evitare di istituire gare vere e proprie, i funzionari di enti regionali – ad esempio il Consorzio di Bonifica Ionio Crotonese – spezzettano le commesse, così da poter usare lo strumento dell’affidamento diretto. Quando partecipa ad una gara, Gallo può contare su amici che lo informano delle offerte presentate dai concorrenti. L’imprenditore, che commercia in dispositivi anti-infortunio, ottiene così commesse d’oro e il monopolio del mercato. Lascia interdetti il fatto che in quegli enti nessuno controllasse decine di contratti palesemente viziati e che si sia dovuto aspettare l’intervento della magistratura penale per scoperchiare queste truffe.
Vi è poi l’amministrazione statale. Nell’inchiesta ha un ruolo centrale un luogotenente della Guardia di Finanza che interroga banche dati riservate e raccoglie informazioni segrete per agevolare Gallo, il quale era indagato (e poi condannato) in un processo sulla cosca di Cutro nel 2018. In cambio, il finanziere vuole sistemare il figlio. Si aggiungano il maresciallo che rivela la presenza di microspie nella auto di un indagato e l’ispettore di polizia che rivela dettagli su un’inchiesta in corso su una rapina. Compare persino una impiegata delle Poste che omette di segnalare operazioni sospette. Infine, un notaio – sostiene l’accusa – non si fa scrupoli ad intestare aziende a prestanome albanesi. La politica sembra trattare una delle organizzazioni criminali più potenti del pianeta alla stregua di un’altra lobby locale. Quando i candidati decidono di usare il pacchetto di voti controllato dalla ‘ndrangheta l’unica domanda che si fanno è: “A Reggio sono forti?”.
Questa inchiesta svela la vastissima rete di rapporti sociali delle ‘ndrine calabresi. Ci mostra anche come l’etica pubblica sia ignota a molti rispettati professionisti e funzionari dello stato. La Calabria sembra bloccata in un equilibrio sociale perverso. Per scardinare questo sistema servono grimaldelli diversi. Inchieste come questa sono fondamentali. Ma poi bisogna mettere mano alla macchina statale, rivedere gli organi di controllo sugli appalti, che debbono essere spostati in uffici fuori dalla regione. Gli equilibri sociali possono mutare e il malaffare può essere sconfitto. Senza dubbio lo vuole la stragrande maggioranza delle cittadine e dei cittadini calabri. Ora aspettiamo che qualcuno articoli una visione per un futuro diverso. Aspettiamo che, nel mezzo dell’inverno, arrivi una invincibile estate.
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